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Parafrasando Jules Renard, possiamo dire che nella casa della poesia la stanza più grande è la sala d'attesa. Una sala che si fa patrimonio del nostro esistere, a cui attingere sempre più frequentemente col crescere delle primavere. Ed è proprio il memoriale, che, sempre più pesante nel tempo, ci suggerisce ombre e luci, voci e volti divenuti substantia di un percorso vicissitudinale carico di pathos. Il poeta se ne fa carico, lo rivive con saudade, senza mai scadere in una lamentano becera e melliflua; evitando insidie di luoghi comuni, armamentari retorici ed epigonismi. Dacché è il suo stilema innervato di figure lessico-foniche e iperboliche, di costrutti solidi e originali, a fare da argine a tanto sentire.